Genitori

Consulenza sulla genitorialità a Ciampino


Tutti gli articoli presenti in questa sezione sono stati scritti dal dott. Stati Felice e in alcun modo reperiti o copiati, anche in parte, da altre fonti. Gli stessi, inoltre, sono stati pubblicati sulla rivista CMAGAZINE.

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Rapporto padre-figlia


Il rapporto padre-figlia non è connotato dagli aspetti narcisistici come quello con il figlio maschio. Il padre nella figlia non vede se stesso ma altro da Sé, il diverso.

L’uomo guarda la figlia stupito e la tiene tra le sue braccia in modo diverso rispetto a come tiene il figlio. La figlia appare fragile e il padre è rigido nel sostenerla. La figlia è come un fiore delicato, puro, simbolo di simpatia e fertilità nonché di rinascita.

Il papà ne è rapito, non padroneggia i sentimenti che avverte, ne è semplicemente attraversato. Teme il grande ascendente che la figlia ha nei suoi riguardi.

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    Un padre in contatto con se stesso si sentirà ben presto “miracolato”, per aver ricevuto in dono una creatura che darà a lui la possibilità di identificarsi con un femminile che per troppo tempo egli ha dovuto negare a se stesso. La figlia insegnerà al padre ad abbracciare un mondo emotivo che per troppo tempo ha dovuto rimuovere. Attraverso questo processo sia il padre che la figlia si costruiranno un’immagine ben definita l’uno nei confronti dell’altra. Ambedue svilupperanno una sicurezza che consentirà loro di superare conflitti e incomprensioni.


    Nel rapporto padre-figlia, la figlia mitiga la naturale aggressività del padre attraverso la civetteria e i modi gentili e delicati. Le figlie desiderano i padri accoglienti, tolleranti, protettivi, forti, ma anche assertivi e fermi, almeno fino a quando l’idealizzazione lo permette.


    In un secondo tempo, verso il periodo della pubertà, le figlie così come i figli, adeguano la loro percezione idealizzata del genitore alla realtà e, con le prime delusioni, si arriva alla scissione. Si comincia a percepire il padre come: “padre buono” distinto dal “padre cattivo” .


    In genere i padri sono felici di essere idealizzati, ma ciò non è né sano né costruttivo per le loro figlie. Al contrario, tornare a una visione realistica del padre, completa di aspetti positivi e negativi, è fondamentale per un sano sviluppo psicologico, anche se prevede nel suo percorso sia un distacco emotivo tra le parti, sia una delusione reciproca. Così, dopo aver risolto in modo adeguato il conflitto dovuto alla separazione, la figlia potrà sperimentare la propria autonomia emotiva dal padre e aprirsi ad una relazione sana e appagante con il proprio partner. Il padre, dal canto suo, dovrà ricostruire la propria identità paterna facilitando l’ingresso della figlia nella età adulta.


    Dalla descrizione finora fatta, emerge che il rapporto padre-figlia rispetto al rapporto padre-figlio risulta prevalentemente basato su connotazioni emotive e seduttive.


    Diverso invece è lo sviluppo psicologico della figlia quando il percorso devia su strade meno sane. Sono tanti gli esempi che indicano un problema irrisolto con la figura paterna: quando le donne scelgono un partner molto più adulto e attraverso questo legame cercano di vivere un rapporto con il paterno non goduto o dal quale non ci si è svincolati.


    Oppure al contrario le figlie di padri assenti e distanti, per riparare al vuoto vissuto, comprendono che debbono darsi da sole ciò di cui necessitano. Per questo possono sviluppare un forte principio maschile diventando intelligenti, colte, professioniste, capaci, forti, coraggiose per supplire in questo modo alla deficienza incontrata. Si definiscono “Amazzoni corazzate” e recuperano l’assenza e il bisogno del padre interiorizzando un principio maschile forte. Questa corazza funziona come guscio protettivo dalla paura di essere rifiutate o abbandonate dal genitore, è una difesa dalla loro vulnerabilità e fragilità.


    E ancora alla assenza del padre la figlia può reagire anche diventando la “Puella”, cioè l’eterna fanciulla che non si assume la responsabilità della propria vita. Non avendo interiorizzato il maschile, diventa una donna senza forza, decisione e disciplina, una donna dipendente e senza identità.


    Poi ci sono i padri seduttivi e incestuosi che fisicamente o psicologicamente legano le figlie a sé. Essi non soltanto impediscono il distacco dalla madre, ma utilizzano la figlia, con il premio di essere la prediletta, allo scopo di perpetuare la loro propria immaturità e fragilità. Le figlie, accettando tale patto incestuoso, rinunciano alla propria vita affettiva.


    Altri padri possono risultare particolarmente assenti nel momento cruciale in cui le figlie si affacciano all’età adulta. Siamo di fronte ad un padre che egoisticamente si bea dell’amore che la figlia gli rivolge. Egli non la lascia crescere illudendosi di permanere in questo paradiso fittizio. Il ritorno al materno da parte della figlia è possibile ma il senso di svalutazione che ristagna dentro se stessa nei confronti della madre la porterà comunque a cercare un apprezzamento del padre che non giungerà mai. In tal caso la figlia cercherà di identificarsi con il padre e con i suoi valori, rifiutando la propria femminilità e costringendosi a una vita affettiva difficile e faticosa, accompagnata da profondi sentimenti di inadeguatezza.


    Un’altra tipologia è quella costituita dai padri “romantici” eterni bambini, che evitano conflitti e responsabilità. Essi si trasformano in figli per le loro mogli e affascinano le loro figlie con i loro comportamenti. Tali padri generano nelle figlie insicurezza, bassa autostima e fragilità emotiva. Spesso queste figlie si sceglieranno partner le cui abilità e capacità sono inesistenti dovute a una scarsa capacità critica, andando incontro a rapporti frustranti e dipendenti che sfociano inevitabilmente in una successione di delusioni.


    All'opposto si collocano quei padri rigidi e autoritari, la cui educazione è imperniata su concetti quali dovere, obbedienza e razionalità, padri che allontanano e deridono tutto ciò che è spontaneo, creativo, sentimentale. Si aspettano il successo delle figlie, l'aderenza alle regole sociali e tradizionali, leggono con disprezzo ogni segno di debolezza e diversità e castigano duramente eventuali comportamenti disubbidienti. Alcune figlie tentano di ribellarsi, ma per lo più rimangono imprigionate nella gabbia dell’odio verso il paterno. Sono donne che nascondono la paura di essere abbandonate, la loro fragilità e il bisogno di essere amate con pesanti corazze. Nonostante siano persone capaci, ben orientate nel mondo lavorativo, efficienti, competitive, trascurano i lati più spontanei e creativi della personalità. Sempre severe con se stesse e con gli altri, a livello cosciente crederanno forse di essere alla ricerca di un uomo totalmente diverso (creativo, non convenzionale, spontaneo e sensibile), ma troppo spesso il partner scelto rivela prima o poi inaspettate somiglianze col padre. Oppure al contrario vivono in un perenne odio verso l’uomo, in una guerra continua e squalificante con l’altro sesso. Altre figlie invece si sottomettono al volere del "padre autoritario" e difficilmente saranno in grado di sottrarsi al condizionamento e a fare delle scelte di vita autentiche. Il rapporto con l'uomo sarà anche in questo caso difficile e sofferto: sceglieranno partner crudeli che le faranno soffrire, con il solo intento inconscio di rimanere tutta la vita a crogiolarsi nel ruolo di vittima.

Genitori e l'ascolto dei figli


Noi genitori dobbiamo essere convinti che le regole che vogliamo dare siano giuste, altrimenti non riusciremo neppure a trasmetterle ai figli. Se una regola non è stata dentro di noi accettata profondamente, se non è stata vissuta, non è considerata buona dal genitore, non possiamo pensare di poterla trasmettere con efficacia e cosa più importante non sarà possibile farla rispettare ai nostri figli. Accettato il fatto che i bambini come gli adolescenti hanno bisogno di regole e di fermezza per diventare degli adulti responsabili, la cosa più difficile è dare regole giuste e farle rispettare.

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    A volte, i genitori si sentono in colpa quando devono imporsi su un figlio, temono che contrariandolo perderanno stima e affetto per loro, temono che il legame possa incrinarsi perché gli si chiede una rinuncia o una frustrazione. Sono questi genitori che subiscono i figli e la loro “dittatura”. Insicuri ed incerti rispetto alle richieste dei loro figli.


    Se il genitore non riesce a dare regole e a farle rispettare, deve chiedersi perché. Questo è legato al vissuto con le nostre figure genitoriali. LA domanda da porsi è:


    Come abbiamo vissuto le regole?


    Come ci siamo sentiti se siamo stati ignorati e non ci hanno dato regole, indicazioni, una guida perché poi non gli importava molto di noi? Abbiamo ricevuto un'educazione troppa severa con punizioni fisiche e allora abbiamo rifiutato in toto quel tipo di educazione oppure nostro malgrado la replichiamo, perché quello è il modello che conosciamo? Abbiamo ricevuto un'educazione troppo permissiva per cui manca a noi la forza e la consistenza per dare regole giuste ai nostri figli? La prima regola è pensare che possiamo fare degli sbagli anche se noi siamo certi di fare bene. I modelli genitoriali introiettati si ripetono necessariamente, da lì possiamo scoprire le nostre difficoltà e i nostri limiti, occorre a volte sbagliare per poter capire e trovare modalità più efficaci.


    Occorre metterci sempre in discussione, perché questo ci aiuta a chiedere, a informarci a confrontarci con altri.


    A tal fine basilare è l’ascolto. Ascoltare i nostri figli è un’arte. Dobbiamo essere pronti a sospendere ogni nostro giudizio, ogni valutazione, ogni idea preconcetta, in una parola dobbiamo sgombrare la mente da tutti gli anni di esperienza vissuta come figli. Perché i nostri figli sono figli diversi da quelli che siamo stati noi.


    Ascoltare non vuol dire stare zitti. Significa interessarsi realmente ai pensieri che i nostri figli ci comunicano.


    L’ascolto attivo-profondo permette di instaurare con il figlio un rapporto significativo in cui possa esprimere il suo mondo interiore, le sue paure, i suoi dubbi, i suoi disagi, le sue gioie ecc.


    Per attuare l’ascolto attivo-profondo occorre tenere presente quattro elementi: l’amore, l’attenzione, l’umiltà e il silenzio.


    L’amore fa sì che il figlio percepisca di essere accettato, amato e possa fidarsi e con-fidarsi, perché non si senta valutato, giudicato e sottoposto a critica.


    L’attenzione partecipe e attiva ma non invadente del genitore, permette di trasmettere il vero interesse per quello che sta dicendo.


    Pazienza nel registrare tutto ciò che i nostri figli ci dicono, ed anche e soprattutto quello che apparentemente non sembra essere significativo.


    L’umiltà del genitore gli permette di pensare che può imparare molto dal figlio e di non pensare di sapere già tutto. Un aspetto che bisogna cambiare è il pregiudizio di pensare, che si è già in possesso della verità per cui ci si chiude e non ci si permette di crescere attraverso il confronto.  


    Saper attendere dopo avere imparato a distinguere ciò che di pregnante emotivamente i nostri figli ci rendono partecipi.


    Il silenzio, fare silenzio dentro noi stessi per mettersi nella condizione di fare spazio per accogliere ciò che noi e figli ci diremo.


    Occorre dedicare del tempo necessario perché avvenga la comunicazione e mettersi nella disponibilità di ascoltare. Sentire di voler accettare il mondo del figlio, decidere di volerlo aiutare. Non incalzare ma dargli il tempo di guardarsi dentro ed aspettare affinché emergano le emozioni sia quelle positive che quelle negative. Se il figlio ha un problema che lo preoccupa, se comincia a parlare, a far uscire le emozioni, il blocco emotivo comincia a dissolversi. Poter esprimere un problema è iniziare a superarlo, perché esponendolo si opera già una prima separazione dal disagio. La sfida dell’ascolto non è quello di arrivare ad una soluzione ma quello di stare dalla parte del figlio.


    Occorre ascoltare senza interferire, senza interrompere, senza invadere. Il genitore è accogliente, paziente e tollerante, rispetta la dignità e l’integrità del figlio. Occorre che il genitore metta da parte i propri pensieri, i propri sentimenti e si concentri sul messaggio del figlio; solo allora potrà percepire il significato che il figlio intende dare alla propria comunicazione.

Essere amati, amare ed essere genitori


La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere che essere genitori significa mettere nel rapporto con i propri figli : amore, razionalità e buon senso.

Teniamo comunque conto come genitori invariabilmente tenderemo a ripetere i modelli educativi interiorizzati, sia positivi che negativi, che abbiamo ereditato dai nostri genitori. Potremmo essere consapevoli di modelli che noi riteniamo adeguati e decidere di metterli in pratica, invece per quanto riguarda i modelli inadeguati, che noi comunque abbiamo vissuto e a volte subìto, potremmo inconsapevolmente tirarli fuori e “agirli “sui nostri figli senza rendercene conto.

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    A volte vogliamo e pretendiamo di essere dei genitori “perfetti”, ma tanto più vogliamo questo, tanto più andremo incontro a frustrazioni e delusioni. Spesso genitori che sono molto critici verso se stessi sono anche critici e non riescono sempre ad accettare i limiti dei propri figli.


    L’incapacità di amare in modo autentico i nostri figli è direttamente proporzionale alla nostra incapacità di amarci come genitori.


    L’incapacità di amarci è legata al nostro ideale di perfezione. Così come impariamo a ridere a scherzare a giocare, impariamo anche ad amarci. Spesso però, senza che ce ne accorgiamo, nutriamo odio verso di noi perché non siamo perfetti. Vorremmo essere: in gamba, competenti, intelligenti e se non ci consideriamo tali, questo ci porta a non amarci. Noi odiamo noi stessi perché fondamentalmente noi non ci accettiamo. I motivi per cui non ci accettiamo possono essere i più disparati.


    L’odio che proviamo verso noi stessi lo possiamo manifestare in forma attiva, ovvero siamo noi che odiamo noi stessi e odiamo o abbiamo odiato le figure genitoriali.


    Poi c’è un odio che si esprime in forma passiva che è l’odio che abbiamo ricevuto dalle figure genitoriali che non ci hanno amato abbastanza o che ci hanno fatto violenza fisica e/o psicologica.


    Dobbiamo risolvere l’odio che c’è dentro di noi sia quello in forma passiva che quello in forma attiva. 


    Se io non posso entrare in comunicazione diretta con l’odio che c’è dentro di me, se non sono consapevole di ciò, questo odio lo scarico sul corpo stando male, oppure mi punisco, creandomi ad esempio una malattia psicosomatica. In altri casi il mio odio può agire indirettamente facendo sì che io vada a mettermi con le mie mani in una serie di guai: incidenti, comportamenti finanziari rischiosi, “dipendenze” di ogni genere, malattie e così via. In questo modo subisco indirettamente le conseguenze del mio odio passivo e attivo. Questo è l’odio rimosso, ovvero è l’odio che agisce dentro di noi senza che noi ce ne rendiamo conto perché è inconscio e represso ed è sotto tutti questi aspetti molto distruttivo. Il Sé, la cui sede è il nostro corpo ci invia dei messaggi perché noi possiamo prendere dei provvedimenti, possiamo intraprendere una strada diversa.


    Tanto più saremo riusciti a perdonare i genitori tanto più riusciremo a stabilire un rapporto autentico con il nostro partner e con i nostri figli. Vedremo i nostri figli come sono nella realtà con i loro pregi, con i loro difetti, con il loro bisogno di essere accolti, amati e capiti. Se invece abbiamo dei “conti aperti” con le nostre figure genitoriali questo immancabilmente andrà a “danneggiare” i nostri figli.


    Il perdono, che non equivale a dimenticare significa scegliere di non odiare, e permette di capitalizzare energie “ritrovate” per creare e per realizzare i nostri desideri.


    Spesso però la ferita che ci portiamo dentro da tanto, troppo tempo spesso non vuole saperne né di amare, né di perdonare, e sembra che soltanto con la vendetta essa possa appagarsi.


    Affidandosi alla nostra saggezza interiore, il nostro Sé e dialogando con esso è possibile perdonare. Il perdono delle figure genitoriali ci permetterà veramente di scioglierci dal legame con “ciò che non abbiamo ricevuto”, per perdonarci e amarci per “ciò che non ci siamo concessi”.


    Oltre al Sé, da cui possiamo ricevere l’amore e l’accoglienza verso noi stessi affinchè noi possiamo risolvere il problema dell’odio è auspicabile che andiamo ad incontrare qualcuno che ci possa amare, questo ci aiuterà a perdonarci: ciò che non abbiamo avuto, lo possiamo chiedere agli altri, alla vita. Lo possiamo creare, lo possiamo cercare e conquistare. Abbiamo la possibilità o meglio l’opportunità di crearci una nostra vita, un nostro progetto, possiamo darci amore.

Il Padre: rapporto padre-figlio


Il rapporto padre-figlio da sempre è stato oggetto di approfondimento di tutte le culture. Per sua natura, l’orgoglio paterno si rivolge in modo più incisivo nei confronti del figlio, piuttosto che verso la figlia. L’importanza del figlio maschio per il padre sta nel fatto che ambedue appartengono allo stesso genere sessuale: il maschile.

Il papà vive il proprio figlio come parte del proprio Sè contribuendo così alla formazione del rapporto padre-figlio dove l’uno si identifica con l’altro.

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    I padri prediligono giochi motori con i figli. In tal modo riescono a superare l’aggressività che gli uni provano per gli altri. Il gioco così diventa un modello verso il quale il figlio può identificarsi, rappresenta il modo in cui gli impulsi distruttivi si possano trasformare in impulsi costruttivi.


    Il figlio è spinto dall’ammirazione nei confronti del padre. Ma ad un più attento esame, si noterà come attraverso il gioco la naturale ambivalenza verso il padre, porterà il figlio ad esprimere in modo velato l’aggressività verso il proprio genitore. Tutti quei sentimenti contraddittori che il bambino prova : ammirazione-paura, piccolezza-grandezza, potenza-impotenza, connotano il rapporto padre-figlio. Tutto l’impegno del figlio è rivolto da un lato a cercare di sottrarre se stesso dal condizionamento del padre e dall’altro dal diventare come lui. L’assenza di un sano confronto d’altra parte, derivante dalla bassa autostima del padre, spesso può essere più deleteria di un eccesso di autorità, poiché ai figli mancherà amore per se stessi e sarà presente una fragilità eccessiva nei confronti di situazioni frustranti.


    Inoltre la mancata interiorizzazione di una sana aggressività da parte del figlio comporterà seri problemi nella sfera sessuale e nell’identità di genere. Non dimentichiamo che per tutti i padri: autoritari, permissivi, narcisistici che siano, il desiderio di plasmare il loro figli “a loro immagine e somiglianza” come ci deriva dalla cultura, è una tendenza molto diffusa. Questo perché permette a tali padri di appropriarsi illusoriamente di una capacità creativa, in netta competizione con quella materna (la vera capacità creativa), che possa permettere loro di rivivere se stessi attraverso i figli, vincendo così la morte grazie all’eternità. Con la nascita della paternità il figlio non può tradire l’aspettativa del padre: essere ciò che il padre vuole che il figlio sia. Solo quando il padre tollererà la frustrazione di rinunciare a tale aspettativa che il figlio potrà trovare la propria strada, provando così un profondo orgoglio verso la propria discendenza.

La Madre: relazione tra madre e figlia


Quando una bambina/o viene al mondo è in simbiosi con la propria madre. In un secondo tempo si separa e inizia il processo di individuazione della propria persona e della propria identità. A questo punto il legame con la propria genitrice può assumere diverse connotazioni. La stragrande maggioranza di questi legami segue percorsi che rientrano nella norma. In alcuni casi invece, il rapporto madre-figlia può essere problematico. Quando una madre si dedica completamente alla cura della figlia più di quanto si dedichi a se stessa, allora si parla di una madre "più madre che donna", per la quale il ruolo di madre prende in modo netto il sopravvento sull'essere donna.

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    Queste mamme non favoriscono il normale processo di separazione dalla simbiosi, così facendo commettono nei confronti delle loro figlie quello che si definisce: " abuso narcisistico". Esso prevede carenza di amore reale per il figlia, generando nella prole, depressione e disistima. La figlia cercherà in tutti i modi di realizzare i sogni della genitrice, nel vano tentativo di diventare degna di un amore che in realtà sarà destinato a rimanere non corrisposto.


    Esistono anche madri " più donne che madri" che investono tutta la loro vita in una passione rappresentata non dalla figlia, ma da un uomo o da una professione o da qualsiasi altro che possa costituire la loro unica ragione di vita. Anche in questo caso per la figlia diviene difficile costruire la propria identità dovendo lottare non per liberarsi da una simbiosi ma, all'opposto, per "identificarsi" prima e separarsi poi. Ci si può distaccare dalla propria madre solo dopo che ci si è legate a lei.


    Altre madri cercano di rivivere la loro giovinezza perduta attraverso la vita delle loro figlie. Possono cercare di essere più amiche che madri, di indirizzare la vita delle figlie per vivere ciò che a loro è stato negato. ?La figlia può allora combattere per difendere e proteggere la sua identità, far valere i suoi bisogni o identificarsi con quelli della madre. Per una figlia comunicare ‘ io sono diversa’ quando dall’altra parte viene attaccata, rimproverata, giudicata porta a un disagio profondo.


    Una donna (e anche un uomo naturalmente) diventa autonoma e adulta (in genere dovrebbe avvenire tra i 25 e i 30 anni di età) quando accetta la responsabilità per ciò che pensa, decide e fa senza continuamente dare la colpa ai suoi genitori per ciò che non ha avuto o che poteva avere. Se la cosa più difficile per una madre è lasciar vivere la figlia come persona nel rispetto della sua unicità, per una figlia è altrettanto complicato comunicare a sua madre “io sono diversa da te”, soprattutto quando dall’altra parte viene criticata e giudicata. Essere madre vuol dire trasmettere il proprio bagaglio di vissuti, esperienze, contraddizioni e conflittualità, ma anche la propria capacità di riconoscenza, di accettazione dell'altro e di gratitudine. Solo quando una figlia avrà costruito la propria identità, differenziandola dalla propria figura materna, allora potrà riconoscere e accettare tollerandolo, l'amore "imperfetto" della propria madre, vivendone appieno tutte le sfumature, anche quelle più scomode e dolorose.

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